PER NOI SARA' SEMPRE E COMUNQUE UN DISASTRO AMBIENTALE

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PER NOI E' STATO E SARA' SEMPRE UN DISASTRO AMBIENTALE

lunedì 25 aprile 2011

LE SPIAGGE BIANCHE DI ROSIGNANO SOLVAY






Un pò di controinformazione riguardo le spiagge bianche di Rosignano Solvay. Alla fine di ogni articolo si trova il link per l'articolo orignale e completo.

Lo stabilimento Solvay è sorto a Rosignano nel 1941. Si tratta di una multinazionale belga che estrae salgemma dai giacimenti di Volterra e della Val di Cecina. Produce sale, cloro, e derivati. Sono caratteristiche le spiagge dinanzi allo stabilimento per il colore bianchissimo, dovuto alla presenza del carbonato di calcio (sono note come "spiagge bianche"). In questa zona, lunga circa mezzo chilometro, c’è il divieto di balneazione (ma la gente, attratta da queste spiagge caraibiche, fa il bagno tranquillamente). Qui si trova infatti il Fosso Bianco, rivo artificiale dove scarica la Solvay. Un divieto così ridotto è senza senso anche secondo gli studi del CNR di Livorno, dato che a 6 km dalla costa verso il mare è stato trovato mercurio nelle sabbie carbonatiche.
Le schiume e gli scarichi di materiali calcarei non sono che gli aspetti più appariscenti degli scarichi a mare. Il mercurio, l’elemento tossico che caratterizza il caso Rosignano, è ancora quasi tutto nei sedimenti marini, e ritorna in circolo con le mareggiate, i pesci e il calore solare.
La questione mercurio è l’esempio migliore della subalternità delle istituzioni alla Solvay: nel recente accordo (precedente l’autorizzazione) non se ne parla neanche. La Commissione europea prevede la chiusura degli impianti cloro-soda con celle a mercurio in Europa entro il 2010.
Ci sono poi gli sprechi enormi, inaccettabili, di salgemma e d’acqua. La Solvay preleva l’acqua dai fiumi Cecina e Fine, con gravi conseguenze sulla riserva idrica della zona, che si vede costretta a razionare l’acqua. Preleva infatti circa 41 milioni di metri cubi l’anno, pari alla quantità utilizzata da tutta la provincia di Livorno (turisti compresi).
La riduzione degli scarichi a mare porterà, nel lungo periodo, alla scomparsa delle spiagge bianche (la sabbia è resa bianca dal carbonato di calcio derivante dagli scarti di lavorazione e che, in estate, "sono meta di migliaia di turisti da tutta la Toscana " (come mai se c’e’ il divieto di balneazione? la frase virgolettata e’ presa da un ansa del 30/3/2000).

http://www.radio.rai.it/radio1/beha/archivio_2000/eventi/agosto/2908_a.htm

Il gruppo Solvay è uno dei primi dieci gruppi chimici del mondo, con circa 33.000 dipendenti distribuiti in 42 paesi. I suoi prodotti di punta sono il carbonato di sodio (soda), il cloro, l’idrato di sodio (soda caustica), il PVC e il polietilene. Con il recente acquisto di Ausimont (con annesse miniere in Namibia), Solvay diviene il primo produttore mondiale di derivati del fluoro. Un settore secondario è quello dei prodotti farmaceutici.
La soda che Solvay produce in Europa per ragioni di sinergie economiche e produttive, esiste tal quale in natura, tanto che la stessa Solvay la estrae e la commercializza in America.
Solvay è presente in Italia con 11 stabilimenti, più la sede direzionale a Milano per complessivi 2.182 dipendenti. Quello di Rosignano è lo stabilimento più grande con 803 dipendenti. Gli altri sono situati a: 1. Angera (Varese), derivati del magnesio; 2. Buriasco (Torino), prodotti mplastici; 3. Ferrara, granulazione PVC; 5. Grugliasco (Torino), prodotti farmaceutici; 6. Massa, derivati del bario; 7. Monfalcone (Gorizia), imballaggi in plastica; 8. Roccabianca (Parma), plastica per cavi e tubi; 9. San Giuliano Milanese (Milano), plastica per arredo; 10. Tavazzano (Milano), solfuri e cloroderivati.
Solvay tra Province di Pisa e Livorno occupa 2000 ettari di superficie e 803 dipendenti, compresi quelli impegnati a San Carlo (estrazione del calcare) e a Buriano-Ponteginori (estrazione del salgemma). Il 75% del salgemma previa depurazione finisce alla sodiera, vecchio cuore della fabbrica, che è in marcia dal 1917 e produce un milione di tonnellate all’anno di soda (carbonato di sodio), quasi interamente assorbito dall’industria vetraria. Il restante 25% alimenta l'impianto di elettrolisi a mercurio, in funzione dal 1939, che in un anno produce 116.000ton di cloro, 130.000ton di soda caustica (idrato di sodio) e 3.300ton di idrogeno.
Negli anni sessanta furono costruiti gli impianti clorometani, poliolefine, perossidati, craking e ampliato il VCM. L’impianto di clorometani a causa delle restrizioni sulle sostanze dannose per la fascia di ozono ha ridotto la produzione di molti composti (cloruro metile, cloruro di metilene, cloroformio, ecc.) ed aumentato quella di acido cloridrico (45.000ton/anno). L’ipoclorito di sodio è prodotto in 75.000ton/anno.
L’impianto perossidati produce acqua ossigenata (sbiancante per carta) e percarbonato di sodio (detersivi).
La produzione delle poliolefine è di 200.000ton/anno (polietilene in grunuli) e sta per essere ceduta al gruppo IP.
Nel 1978 furono chiusi il vecchio ed inquinante impianto VCM e l’altrettanto inquinante craking per la produzione di etilene. Da allora l’etilene arriva via mare, tramite un pontile di 1,8km, e stoccato in area archeologica costiera.
Nel 1988 la popolazione con un referendum dall’esito clamoroso respinse il progetto Solvay di un nuovo mega-impianto VCM-PVC, nonostante esso godesse dell’appoggio di quasi tutti i partiti, sindacati e istituzioni.
Nel 1997 Solvay ha attivato a Rosignano una centrale elettrica turbogas da 350 Megawatt (circa 1/6 dei consumi toscani) e nel novembre 2001 ha presentato un progetto per una seconda centrale da 400 Megawatt, non necessaria allo stabilimento e non prevista dal Piano Energetico Regionale.
La Solvay di Rosignano è classificata ad "alto rischio d'incidente rilevante" ai sensi del DPR 175/88 e come tale soggetta a procedura particolare (notifiche, piano di protezione civile, ecc.). Tale procedura, durata ben 11 anni, ha messo sotto osservazione gli impianti Cloro, Etilene e Acqua Ossigenata e alla sua conclusione è stato dichiarato ad alto rischio solo l’impianto Cloro.

Solvay S.A. è presente nelle province di Pisa e Livorno, Toscana Centro Occidentale, dal 1917, attualmente mantiene un grosso stabilimento industriale presso Rosignano Solvay, cittadina della costa in Provincia di Livorno, ed è titolare di concessioni per lo sfruttamento minerario dei giacimenti di salgemma nelle aree dell’entroterra denominate Buriano, Casanova e Ponteginori (quest’ultima ormai esaurita).
Il salgemma (il comune sale da cucina) si trova nella zona di Volterra in banchi e lenti sotterranei a profondità variabili in genere tra 80 e 500m, all’interno di formazioni argillose mioceniche. La coltivazione dei giacimenti avviene tramite pozzi che attraversano i principali banchi del minerale. Immettendo nei pozzi grossi quantitativi di acqua dolce a pressione viene provocata la dissoluzione del sale. La salamoia (soluzione di acqua e sale) viene quindi estratta e introdotta in altri pozzi fino ad arrivare ad ottenere una soluzione satura di cloruro di sodio. Pozzi diversi, dislocati a distanza di varie decine di metri con disposizione «a scacchiera» vengono in comunicazione in profondità attraverso i vuoti lasciati dalla dissoluzione dei banchi di salgemma. La fase in cui si realizza la messa in comunicazione tra pozzi, dopo la quale inizia la fase di estrazione, impiega tempi variabili da uno a tre anni, in funzione degli aspetti geologici e stratigrafici della zona. La fase produttiva è costituita dalla messa in esercizio dei pozzi, attraverso i quali viene prelevata la salamoia satura fino all'esaurimento dello strato di salgemma. La salamoia estratta viene inviata allo stabilimento di Rosignano attraverso una tubazione lunga circa 35 Km. La realtà produttiva di Rosignano, grazie al salgemma del Volterrano e al calcare delle cave di S. Carlo, realizza una serie di composti, carbonato e bicarbonato di sodio, cloro e cloroderivati. Come accade per molte altre grandi realtà industriali le ricadute occupazionali subiscono da molti anni una fortissima erosione, i dipendenti Solvay a Rosignano sono passati dai 3.200 del 1978 ad 800 attuali.
La dissoluzione delle lenti e dei banchi di salgemma determina la formazione di cavità di grandi dimensioni nel sottosuolo che sotto il peso dei terreni soprastanti vengono a richiudersi per schiacciamento e per crolli, in tempi più o meno lunghi. In superficie questo fenomeno si traduce in subsidenze (abbassamenti del terreno) di entità variabili. Le subsidenze possono indurre avvallamenti, fenomeni franosi e, nelle vicinanze dei pozzi di estrazione, vere e proprie voragini (camini di collasso) che spesso hanno determinato la formazione di laghi salati.
Le quantità di risorse, salgemma e acqua dolce, estratte da Solvay e utilizzate per l’industria di Rosignano sono andate crescendo nel tempo a ritmi vertiginosi: il salgemma è passato dalle 36.000ton del 1915, alle 569.000ton del 1950, fino ad 1.928.100ton nel 1997. Per quanto riguarda l’acqua, essa è utilizzata da Solvay nei cantieri minerari per i processi di estrazione e di trasporto del sale, e nello stabilimento di Rosignano per i processi industriali. Il consumo è ovviamente cresciuto di pari passo con l’aumento dei quantitativi di minerale estratto e delle produzioni. L’acqua viene prelevata in gran parte dal fiume Cecina nei vari punti dove sono dislocate le opere di derivazione: le quantità ufficiali rimandano esclusivamente a dichiarazioni Solvay, dal momento che nessuno fino ad oggi ha mai effettuato controlli. I consumi di acqua dolce sono passati da 28.000m3 (stimati) negli anni 1920 a 14.318.000m3 dichiarati nel 1996, di cui 10.413.000 derivati dal Cecina e 3.905.000 dal Lago di S. Luce nel bacino idrografico del vicino fiume Fine.
Il salgemma è utilizzato anche negli stabilimenti della Salina di Stato, situati presso Volterra, in una frazione nota appunto col nome di Saline. Oggi la Salina fa parte dell’Ente Tabacchi Italiano (ETI), società pubblica in odore di privatizzazione che fino a poco tempo fa si chiamava Amministrazione dei Monopoli di Stato (AMS). Lo stabilimento di Saline di Volterra attualmente estrae dalle proprie concessioni circa 70.000ton/anno di salgemma, un quantitativo 26 volte inferiore a quanto prelevato da Solvay, che viene venduto all’ingrosso a poco prezzo. La Salina occupava negli anni cinquanta 540 dipendenti, numero che scese a 300 a metà anni settanta, nel 1996, al momento della firma del contratto, erano 120 e oggi nel 2002 il numero degli occupati è crollato ad 80 unità. Ma ancora non basta, si parla adesso di una drastica riduzione del personale, pare che verrà ridotto alla metà il numero degli addetti per rendere appetibile l’azienda in vista della privatizzazione. Gli impianti industriali risalgono ai primi anni sessanta e avrebbero senz’altro bisogno di essere modernizzati.

L’attività di estrazione del salgemma per le caratteristiche dei giacimenti del Volterrano produce necessariamente fenomeni di subsidenza (sprofondamenti del terreno irregolari e protratti nel tempo). Il problema può essere drammaticamente aggravato dall’attuazione del contratto ETI-Solvay per l’enorme incremento dei ritmi d’estrazione previsti e per le peculiarità delle nuove concessioni.
I prelievi di minerale che opera la Salina oggi raggiungono a stento 70.000ton/anno, mentre come è stato precedentemente ricordato, Solvay opererebbe a ritmi che «a regime» andrebbero ad attestarsi su 2.150.000ton/anno, ovvero circa 26 volte tanto. Questo incremento spaventa soprattutto la popolazione di Saline di Volterra, 1.200 abitanti, perché il paese viene a trovarsi esattamente all’interno delle nuove concessioni. Essi, pur abituati a convivere col fenomeno, temono che ai ritmi di prelievo Solvay i danni alle loro abitazioni e alle infrastrutture diverrebbero insostenibili. E’ noto che nella concessione di Buriano, dove attualmente è attiva la coltivazione mineraria Solvay, la subsidenza raggiunge punte ben oltre i 20m. Inoltre nelle concessioni oggetto del contratto i banchi di salgemma sono molto più superficiali rispetto alle attuali concessioni Solvay, il che autorizza ad attendersi fenomeni di subsidenza amplificati di molto.
Già durante gli anni venti, il Ministero delle Finanze fece chiudere alcuni pozzi di acqua salata a nord di Saline perché il loro sfruttamento procurava il danneggiamento di alcune abitazioni nel piccolo centro abitato. Lo stesso Ministero a quel tempo impose una fascia di rispetto attorno a Saline di 1000m. La fascia di rispetto prevista dal contratto è di soli 100m, estesa a 200m attorno ai punti vulnerabili (l’abitato di Saline, l’asta del fiume Cecina, la linea ferroviaria, la S.S. 68, la S.P. 419). Una garanzia che gli abitanti della zona giudicano del tutto insufficiente.
Il sistema di coltivazione a scacchiera applicato da Solvay prevede l’utilizzo di pozzi multipli che vengono in comunicazione nel sottosuolo attraverso estesi scavernamenti e profonde dissoluzioni. La dissoluzione dei banchi di salgemma nel sottosuolo per la loro prolungata estensione non può essere posta del tutto sotto controllo e da sempre si osservano vistosi abbassamenti del suolo ben al di fuori delle aree di coltivazione: oggi se ne hanno esempi evidenti in località La Silsa, dove sono coinvolte la S.S, 68, la linea ferroviaria e alcune costruzioni e in località San Domenico. Dal punto di vista della sicurezza sarebbe di gran lunga preferibile il metodo di coltivazione definito a pozzi singoli che limita gli scavernamenti mantenendo dei pilastri di sostegno all’interno del livello produttivo frapposti ai comparti coltivati, ma l’azienda per massimizzare il rendimento preferisce utilizzare il metodo a pozzi multipli.
Le cavità sotterranee, la fratturazione e lo scompaginamento dei livelli produttivi e della copertura, in altre parole il dissesto geologico profondo provocato dall’attività estrattiva aumenta sensibilmente la pericolosità sismica del sito, che in caso di evento tellurico diverrebbe infinitamente più vulnerabile.

Nel Volterrano, sono noti fin dai tempi degli etruschi giacimenti di salgemma purissimo, cloruro di sodio al 99,893%. Questa risorsa non rinnovabile ha segnato la storia di Volterra e della sua economia da tremila anni a questa parte. Per la sua qualità il salgemma del Volterrano risulta particolarmente adatto al consumo alimentare o agli usi cosiddetti “fini” piuttosto che per la produzione di cloroderivati.
Il minerale si trova in banchi e lenti all’interno di depositi argillosi del Messiniano (Miocene sup.) posti nel sottosuolo a profondità variabili nella zona di Saline di Volterra e Ponteginori.
Il sale ha un’origine evaporitica ed è frequentemente associato a livelli di gesso. L’estrazione del minerale avviene in tre fasi: attraverso pozzi viene immessa acqua nel sottosuolo; si determina la formazione di bacini endogeni di acque salse; successivo prelievo per pompaggio di salamoia satura.
Le quantità di sale che si stima siano racchiuse nel sottosuolo delle concessioni della Salina sono circa 80.000.000m3,
una quantità che coltivata ai ritmi Solvay andrebbe esaurita nel giro di 70 anni. L’annullamento della risorsa viola il principio di sviluppo sostenibile che la Regione Toscana con la legge 5/1995 ha fatto proprio.
Qualsiasi soggetto privato che estrae salgemma è tenuto a pagare un canone annuo per ogni tonnellata di minerale all’erario (fino a ieri ai Monopoli di stato). Solvay aveva arbitrariamente cessato di corrispondere tale canone ai Monopoli dai primi anni settanta, divenendo così debitrice di circa 75 miliardi di lire (38.734.267€). La contrattazione tra Solvay e Monopoli si è rivelata un disastro per l’ente pubblico. E’ stato abbassato il prezzo del canone da 2.700 lire (1,39€) più IVA per tonnellata annua a 1.700 lire (0,88€) più IVA. Il canone era 210 lire (0,11€) nel 1967, ovvero tenuto conto dell’inflazione 10 volte più alto di adesso. Ancor più stupefacente è la decorrenza della revisione del prezzo, fissata retroattiva fin dal 1986, cosicché l’erario perde a favore di Solvay oltre 2 miliardi di lire (1.032.914€) all’anno. Per finire Solvay estinguerà il debito con la fornitura di salamoia che il contratto prevede che debba assicurare alla Salina, quindi in concreto la multinazionale non verserà neanche un soldo del debito dovuto.

Inoltre gli abitanti di Saline hanno ben presente quanto successo a Belvedere di Spinello (Calabria) nel 1984, dove i prelievi di salgemma in un cantiere minerario analogo provocarono un disastroso collasso che causò l’espulsione catastrofica di almeno 1.500.000m3 di salamoia con conseguenze gravi per l’ambiente e per l’agricoltura a breve come a lungo termine.
I timori si rafforzano, dal momento che all’interno di Saline è situata una industria chimica, Altair Chimica, di dimensioni medio-piccole, ma caratterizzata da impianti ad elevata pericolosità che rendono il sito particolarmente sensibile.
La politica di Solvay rispetto a questo problema appare piuttosto spregiudicata. Per non fornire punti di riferimento certi ed elementi tangibili delle conseguenze del fenomeno, l’azienda dispone l’abbattimento di ogni manufatto all’interno delle concessioni. E’ così che sono andati perduti molti antichi poderi delle campagne del Volterrano. L’azienda tende a rilevare, pagandoli cifre cospicue, i fabbricati che hanno subito le lesioni più gravi fuori e dentro le concessioni, in modo tale da occultare le conseguenze più evidenti del dissesto e cercando di dividere il fronte dei cittadini che protestano.
Per non parlare delle indagini geofisiche e geognostiche condotte dall’azienda all’interno delle concessioni, secretate per improbabili ragioni di concorrenza industriale. La motivazione, se la situazione non fosse così preoccupante, apparirebbe quasi comica, infatti lo sfruttamento delle proprie concessioni gli è assicurato in perpetuo dallo Stato italiano e dunque non esiste rischio di concorrenza. Tale documentazione potrebbe invece mettere in evidenza gli effetti nel sottosuolo della coltivazione col sistema a pozzi multipli ed essere eventualmente di aiuto per prevenire possibili situazioni di rischio dentro e fuori le concessioni minerarie. La sicurezza passa, però, in secondo piano di fronte alle nobili ragioni del mercato, anche quando sono palesemente inconsistenti e pretestuose.
Infine c’è un problema di trasparenza: la rete pubblica di livellazione che esegue il monitoraggio della subsidenza è sotto la responsabilità di un eminente professore del C.N.R. che purtroppo è al tempo stesso il principale consulente tecnico di Solvay nella zona.

Come spesso avviene per le industrie della chimica di base anche nel caso degli impianti Solvay di Rosignano la contaminazione ambientale sembra essere lo scotto da pagare in cambio dei posti di lavoro. I problemi ambientali più gravi, oltre a quelli relativi al salgemma e all’acqua dolce, hanno contorni ben definiti, si chiamano: cloro e mercurio.
Il cloro preoccupa per il pericolo di fughe asfissianti, per i suoi utilizzi e le conseguenze nocive: i cloroderivati cancerogeni, i danni alla fascia dell'ozono, le piogge acide. Il cloro a contatto con l’aria è un gas superpesante che ristagna vicino al suolo ed è letale per l’uomo nella misura di mezzo grammo per metro cubo d’aria. E’ fortemente irritante per la pelle, per gli occhi e le vie respiratorie, può provocare edema polmonare e alterazione della funzionalità respiratoria. Il cloro è il primo anello della catena del cloruro vinile monomero / dicloroetano / polivinilcloruro (PVC) tristemente nota. E’ inoltre l’elemento base di numerosi pesticidi fra i quali il DDT, mentre le diossine e i furani si formano come residui nella produzione e nell’incenerimento di organoclorurati. Infine è nocivo assieme ad alcuni suoi composti per la fascia di ozono. Nella storia di Rosignano si contano numerose fughe di cloro, la AUSL locale ne conta 10 avvenute tra il 1973 e il 1990, i sindacati ne ricordano una in più, mentre gli abitanti circa il doppio. Il 13 Agosto 1987 la fuoriuscita di 40kg di cloro determinò una situazione ad alto rischio per la popolazione, che per fortuna venne scongiurata dal forte vento di quella giornata che disperse il gas.
Vi sono molti composti del cloro che finiscono nelle acque e nell’aria di Rosignano. Il cloruro di metile non è neppure citato nell’autorizzazione del 21/1/2000 della Provincia di Livorno sugli scarichi a mare, così come per il cloruro di metilene. La stessa autorizzazione fissa per il cloroformio il limite di 285kg/anno, mentre per il tetracloruro di carbonio consente di raggiungere la quota di 380kg/anno.
Il contatto con le sostanze tossiche emesse o trattate dallo stabilimento (cloroformio, tetracloruro di carbonio, acqua ossigenata, percloroetilene, mercurio, nikel, ecc.) ha favorito al diffusione di patologie nella popolazione e nei lavoratori. Un dato appare particolarmente preoccupante, dei 43 decessi avvenuti tra i lavoratori ex-esposti a CVM, 21 sono avvenuti per tumori maligni, per una percentuale del 49%.
Il mercurio è presente negli impianti Solvay di Rosignano come componente della vecchia tecnologia dell’elettrolisi con celle a mercurio per la produzione di cloro. La Commissione europea (OSPAR) per la protezione del nord-est Atlantico ha indicato il termine del 2010 affinché venga definitivamente abbandonata. Esiste l’alternativa collaudata delle celle a membrana, il cui impatto ambientale è incomparabilmente inferiore, ma a Rosignano non riesce a fare breccia.
Il mercurio si accumula nella catena alimentare ed arriva all’uomo prevalentemente sotto forma di metilmercurio; gli organi bersaglio sono il rene ed il sistema nervoso centrale, ma colpisce anche altri organi. Le intossicazioni acute da mercurio possono provocare lesioni polmonari, nefrite, stomatite ulcerosa, ecc. L’intossicazione cronica può portare ad alterazioni della personalità, irritabilità, insonnia, tremore, ansietà, alterazione della parola. Nelle donne in gravidanza può generare alterazioni del feto che si traducono in figli affetti da una malattia simile alla paralisi cerebrale, compromissioni uditive e visive e aberrazioni cromosomiche.
I dati ufficiali riportano che a Rosignano dal 1939 fino a poco prima dell’entrata in vigore della legge Merli (1976) siano state scaricate a mare 14 tonnellate all’anno di mercurio. L’attuale autorizzazione consente di scaricarne 600kg all’anno fino al 2003 compreso. Ricercatori del CNR di Pisa hanno approssimativamente calcolato che sul fondo del mare lungo questo tratto di costa vi siano accumulate circa 337 tonnellate di mercurio. L’ittiofauna può assumere questo elemento, come già successo a Minamata in Giappone, e quindi attraverso la catena alimentare esso può arrivare all’uomo con il carico di conseguenze immaginabili.
Un problema di basso impatto sanitario ma rilevante dal punto di vista ambientale è quello dello scarico a mare delle particelle solide sospese. Sia la sodiera che l’impianto cloro-soda caustica determinano come prodotto di scarto grandi quantità di carbonato di calcio (e in misura minore gessi) che vengono inviati al mare tramite un canale di scarico. Il rilascio di enormi quantità di sospensioni ha “sterilizzato” alcuni chilometri di costa, dove la vegetazione marina, la fauna bentonica e pelagica sono scomparse. Le concentrazioni dei solidi sospesi eccedono di molto i parametri previsti dalla legge fin dalla emanazione della L. 319/’76. Praticamente da allora Solvay gode di un regime di deroga rispetto a questo parametro che viene rinnovato ogni 4 anni con delibera provinciale. La situazione va avanti così, in regime transitorio-stabile, da quasi trent’anni. L’ultima autorizzazione (21/1/2000) prevede un programma di risparmi d’acqua, di materiale e una riduzione degli scarichi a mare del 30%, entro il dicembre 2003. Ci auguriamo che almeno questi impegni minimi vengano rispettati, poiché la quantità totale dei rifiuti che ufficialmente gli impianti chimici di Rosignano scaricano in mare è decisamente eccessiva, ammonta a 200.000 tonnellate annue.
Il rischio ambientale appare, quindi, nel complesso elevato, nonostante le autorità sanitarie e della protezione ambientale della zona tendano a minimizzare: i tecnici ARPAT hanno archiviato molte morie di pesci avvenute in questo tratto di mare con la formula grottesca di “morti per cause naturali”.

http://www.cipsi.it/contrattoacqua/home/dettagli.asp?ID=292&tipo=2

La presenza dell’industria Solvay in Toscana è ormai storica. L’azienda s’insediò a Rosignano ai primi del secolo scorso, perché aveva individuato nei giacimenti di salgemma della vicina Val di Cecina la materia prima che poteva rifornire i propri stabilimenti, già all’epoca famosi per la produzione di carbonato di sodio. La società belga, leader nella chimica di base, con quasi un secolo di presenza, ha messo profondamente le proprie radici in Toscana: ha praticamente fondato la cittadina di Rosignano Solvay, a cui addirittura dà il nome, e cura immancabilmente ed impeccabilmente i propri rapporti con le amministrazioni locali. Purtroppo un’industria chimica come quella Solvay, dotata di un basso livello tecnologico, sottopone il territorio ad una pressione tale da provocare numerosi attriti con le popolazioni locali. Sono ormai diversi anni che associazioni, comitati, movimenti di cittadini sono mobilitati a difendere il proprio territorio dalle attività, attuali ed in progetto, della multinazionale. Oggi, nonostante una gran parte del salgemma estratto in Italia provenga dalla Val di Cecina, la ricchezza da esso ricavata prende altre strade. Questi profitti sono indirizzati quasi per intero in Belgio, dove ha sede Solvay; solo qualche briciola resta a Rosignano sotto forma di posti di lavoro assieme all’inquinamento rilasciato dall’industria chimica; quasi nulla in Val di Cecina, a parte la desolazione di migliaia di ettari di cantieri minerari. La questione della Solvay e del suo impatto sul territorio della Val di Cecina è stata affrontata e approfondita da questo documentario che si articola attraverso una serie di interviste a soggetti appartenenti al mondo politico, sindacale e dell’associazionismo ambientale. Mostrare il fiume, i cantieri minerari, l’inquinamento del mare e della costa sono state alcune delle tracce seguite dal documentario.

http://www.docume.org/schedafilm.asp?id=51

LA MIA SOLVAY
Quella che vedete è la fotografia aerea, scattata l'anno scorso, del tratto di costa denominato "spiagge bianche" e del mare prospiciente per un paio di miglia circa, nell'area industriale del comune di Rosignano Marittimo, provincia di Livorno.
I fabbricati geometrici che si vedono in terra sono le strutture industriali della fabbrica chimica Solvay, multinazionale belga da 100 anni padrona di questo territorio costiero confinante con i paesi ad alto valore turistico di Castiglioncello e Vada e con le pinete, ormai quasi scomparse a causa dell'erosione, del comune di Cecina. Negli ultimi anni, i mezzi di comunicazione di massa hanno magnificato queste spiagge, definite "caraibiche" poiché composte di sabbia fine di colore, appunto, bianco candido, determinando un flusso di bagnanti notevole, tanto che l'amministrazione comunale ha dovuto creare parcheggi enormi per evitare intralci alla circolazione lungo quel tratto di strada statale, la n.1 Aurelia. L'effetto "caraibi" è poi amplificato dal colore delle acque marine che lambiscono questo tratto di costa, colore vivamente azzurrino che la foto in bianco e nero non può rendere. Esteticamente dunque il paragone è appropriato. Sostanzialmente però c'è solo un piccolo problema. E' stata omessa, da questa magnificazione, la reale causa di questo bellissimo effetto cromatico. Questo tratto di costa è infatti adibito a discarica della fabbrica chimica retrostante. Oltre al carbonato di sodio, che come inerte è andato e va ad arricchire di bianco la sabbia, il fosso di scarico delle acque reflue industriali entra nel mare, depositando sostanze più o meno tossiche, quella enorme nuvola marina che vedete nella foto, la cui composizione resta tuttora imprecisata grazie al boicottaggio ed alle pressioni lecite e meno lecite operate dalla Solvay e dalle istituzioni ad essa legate a doppio filo su ogni tentativo di verità. Poveri bagnanti allora, che si immergono da anni spensieratamente in un fluido che è ben lontano da rappresentare l'ideale dell'acqua di mare! Ebbene la mia famiglia ha origini remote, ma il territorio di riferimento è Castiglioncello, quell'ex piccolo paese di pescatori arroccato sugli scogli a nord di Rosignano, oggi meta turistica ambita dalle masse, non si capisce bene perchè, dato che non possiede spiagge più grandi di un campo di calcetto. Da piccoli, qualche rara volta i genitori ci portavano a fare il bagno alle spiagge bianche, un'avventura esotica che comunque non ci lasciava troppo impressionati. C'era qualcosa di strano in quel luogo: cresciuti nel sano mare di scoglio, avvezzi a immersioni insicure, a ricche cacce subacquee estenuanti e provvisti di solide conoscenze empiriche del mondo costiero e marino, restavamo perplessi al riscontro del deserto biologico che ci si presentava quando, maschera e pinne, esploravamo i fondali: nè pesci nè piante marine, mai. Questo fatto bastava a tenerci lontani da quel mondo malato. Oggi i controlli, nonostante i trucchi e le omissioni, sono sicuramente più accurati e l'inquinamento è stato senz'altro ridotto, e nonostante questo guardate che bel panorama si presenta dal cielo. Venti, trenta, cinquanta anni fa, quando non si sapeva nemmeno cosa fosse l'inquinamento, pensate a quali ancor più orribili composti chimici si mescolavano a quel mare, molti dei quali ancora giacciono sui fondali, subdoli ed indistruttibili. Insomma un vero sito postmoderno, che, come tutti i suoi simili, presenta un alto grado di pericolosità. Il turismo estremo esiste e rappresenta anche una voce economica importante. Le spiagge bianche sono un sito di archeologia industriale di grande rilevanza turistica. Visitatele pure ma andateci convenientemente abbigliati e non bagnatevi in quelle acque, casomai prelevatene un campione da far analizzare in un laboratorio privato.

news.nettaridibacco.it/marzo2004/turismo1.htm

Cara dolce preferita fabbrica ad alto rischio tra le tante della mia infanzia. Pensate che fu il nonno materno che progettò alcune delle sue strutture. Il babbo invece era un "uomo del ferro" in quegli anni nei quali le miniere dell'Elba sfornavano minerali bellissimi ma forse economicamente poco utili e non c'erano filtri per le polveri e si respirava limatura di ferro intorno alle aree siderurgiche. Fabbriche "nere". Niente polveri dalla Solvay, solo liquami in mare. Dalla collina dove abitavo vedevo la fabbrica "bianca" di soppiatto, da lontano, tra le aperture della siepe e tra le fronde dei pini domestici delle campagne intorno. Bianca; il bianco è un colore rassicurante. Tutte le mattine estive le nonna ci portava in spiaggia: orari rigorosi: dalle 8 alle 10,30. Poi, noi bimbetti, al riparo dal sole cocente nelle mura domestiche; e dalla spiaggia di ciottolini, e dalla dolce scogliera scolpita dall'uomo chissà quando, che era l'ingresso alla grande piscina blu del mar Tirreno, i nostri infantili occhi si posavano intimoriti dall'altra parte della larga baia, su quella fabbrica, già presto odiata per la sua intrusione volgare nella nostra terra benedetta. Nel 1900 Rosignano Marittimo - Comune comprendente varie frazioni tra le quali Castiglioncello - era un paese agricolo a forte vocazione turistica; ad inizio secolo scorso la Solvay ha colonizzato questo territorio importando manodopera da ogni parte d'Europa e costruendo un villaggio a ridosso dei suoi impianti, a ridosso della costa (dove insisteva qualche sparuta struttura agricola), per ospitare questi lavoratori immigrati. All'inizio, nessun indotto, raro l'utilizzo di manodopera locale (forse perché i locali erano tutti impegnati altrove), un organigramma aziendale che in fasi intermedie poteva comprendere un rampollo di buona famiglia locale, ma sostanzialmente solo forza lavoro proveniente da altre zone. Non dava molta noia, a quei tempi la fiducia sull'industrialismo era cieca. Ben presto però anche i figli dei pescatori e dei commercianti del luogo cominciarono a pensare alla fabbrica come sbocco economico e miglioramento delle condizioni di vita, (e qui ci andrebbe un punto interrogativo:?) e la Solvay non aspettava altro. In un cinquantennio di attività discreta e silenziosa ha conquistato il controllo sull'intera società territoriale, di lì breve, al potere magico della "bianca e spettrale signora della spiaggia accanto" si potevano opporre solo pochi folli emarginati, tra cui sicuramente io. Il sostegno alla fabbrica di tutti i "poteri forti" della società locale, derivata da quell'innesto dei primi del '900, era assoluto, anche dopo che si incominciarono a scoprire le magagne; e tale sostegno è continuato anche a seguito alle ripetute ristrutturazioni operate dalla multinazionale proprietaria che ha ridotto geometricamente l'utilizzo di forza lavoro umana ed invaso ancor più il territorio.
Ad ogni trattativa, invece di ottenere benefici in cambio di sacrifici, si spacciavano ulteriori concessioni alla fabbrica per "accordi raggiunti per il beneficio della collettività rappresentata". Il sostegno alla fabbrica si estendeva a categorie teoricamente indipendenti, come la stampa quotidiana e i media locali, attenti a non far mai accellerare un processo di dismissione che facesse precipitare le trattative favorevoli al colosso belga. La potente scuola quadri locali del PCI, operaia da due o tre generazioni, garantiva inoltre, oltre che sindaci implacabili, anche un'efficace copertura d'intelligence su ogni espressione di dissenso che si fosse manifestata e che fosse in grado di agire politicamente, quindi elettoralmente. Gli ambientalisti autoctoni sono stati sgominati dalla scuola quadri di d'Alema dopo che comunque erano riusciti a far arrivare la nave Syrius di Greenpeace a tappare il fosso maledetto, e a combinare un paio di suggestive e partecipatissime manifestazioni in città. Per non parlare poi del quasi 5% di voti verdi alle elezioni del 1990. Ma questa è un'altra storia. La stampa dunque. Una dozzina di anni fa ero un poco umile cronista nella redazione locale di un quotidiano nazionale, il Tirreno, gruppo Monti poi Repubblica. Scrivevo di sport ed ogni tanto di cronaca sulle pagine locali e qualche domenica riuscivo a piazzare un pezzo sull'ambiente anche nelle pagine nazionali. Ero reduce da un'esperienza con il vecchio glorioso e scomparso paese sera, per il quale ero salito a fare un reportage sulla prima nave dei veleni che fece scalpore: la Deep Sea Carrier. Al Tirreno credo di aver portato quel pizzico di spirito critico che poi ha inquinato gli odierni giornalisti della redazione. Mi astenevo da scrivere di politica ambientale su quelle pagine, ero troppo coinvolto e dunque avrei mancato di obbiettività cercando di portare i lettori locali verso la mia causa ecologista. Ma sui tabloid internazionali era un'altra faccenda. Scrivevo qualche articolo per Frigidaire, secondo periodo (erano rimasti Inox Sparagna e Flipper Scòzzari). Gli mandai un pezzo sul rinvenimento di rifiuti tossici nocivi sotterrati clandestinamente sotto la spiaggia con evidenti responsabilità della Solvay, il tutto spietatamente fotografato da un nostro agente.
Titoli, sottotitoli e aggiunte che Sparagna, direttore del mensile, diede al pezzo, non furono approvati da me, anzi smentiti, ma lo Sparagna se ne fregò altamente, così com'era solito fare. Da quel giorno l'ho mandato al diavolo. Il malcostume giornalistico di intervenire sui pezzi degli altri aggiungendo o tagliando frasi e parole è molto diffuso nella stampa d'elite. Non so bene se è stato Sparagna o Scòzzari a farcire il mio pezzo di parolacce e frasi demenziali, ma ho considerato questa intrusione indebita come una gravissima cosa. A questo proposito ricordo un exploit del 1999: Il quotidiano "La Repubblica" mi richiese un articolo sull'olio extravergine d'oliva. Mandai il pezzo e dopo qualche giorno me lo vidi pubblicato; soltanto che non era il mio. Era un insulso e piatto articolo di qualcun'altro con la mia firma apposta. Restai scandalizzato e non mandai altro a quello che date le circostanze, ero stato portato velleitariamente a considerare "un branco di giornalisti inetti e raccomandati, schiavi di caporedattori prezzolati e velinisti di regime fasullo". Per tornare a bomba, riporto integralmente nelle prossime pagine l'originale dell'articolo di Frigidaire, così come è uscito dalla mia macchina da scrivere.
Dopo l'uscita del pezzo nelle edicole, il facente funzioni di caporedattore della sede locale del Tirreno, vicinissimo all'Amministrazione pubblica, mi invitò a non farmi più vedere in redazione. Coincidenza? Direi di no, dato che riesco a riconoscere la propaganda. Avevo messo il coltello nella piaga segreta. Potevo fare causa ma francamente non amo questo tipo di contrattazioni. Orbene da quel momento non fui più un cittadino gradito alle autorità locali e dato che in giovanissima età mi ero macchiato del tentato furto pasquale di una cotoletta d'agnello alla coop, la recidività del mio comportamento asociale e poco "comunista" determinò il mio esilio. Addio colli sorgenti dal mare e ciminiere elevate al cielo, qui non mi vogliono più. Da poco lontano però seguo ancora l'azione di quei pochi intrepidi che ancora osano sfidare la Solvay. Dissociandomi dalle azioni criminose di giovani gruppi di teste dure, approvo l'impegno con il quale si sta cercando di quantificare i danni al sistema idrico e di falda e i guadagni dello "spettro bianco" nell'utilizzo centenario e gratuito delle ricchissime risorse del mio territorio natale, e che riguardano anche l'intero bacino del fiume Cecina. Anche da lontano, la mia lotta al terrorismo industriale continua.

http://news.nettaridibacco.it/marzo2004/turismo2.htm

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