http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto.legge:2014;91
Altro
che semplificazione,
si
tratta di della completa privatizzazione delle bonifiche e della salute delle
persone.
Il recente
Decreto 91/2014 pubblicato il 25 gigno sulla Gazzetta Ufficiale, sarà ricordato
come una delle più lucide operazioni di rimozione “sulla carta” dei problemi di
contaminazione dei siti inquinati, più che un decreto “Ambiente protetto” come
è stato incautamente definito dal Ministro una norma “Inquinatore-protetto”.
Partito,
secondo le dichiarazioni del Ministro Galletti, con il positivo intento di
semplificare le farraginose procedure delineate dal Testo Unico ddell'Ambiente
(D.lgs.152/2006) si è trasformato in un vero e proprio invito a nascondere la
polvere inquinata sotto il tappeto.
In un
paese dove le notizie sulla corruzione nel mondo dei rifiuti e delle bonifiche
sono all'ordine del giorno, si emanda tutto al privato in un vero e proprio far
west dove a rimetterci sono solo le comunità che vivono nelle migliaia di
luoghi inquinati del paese.
La norma
prevede che il primo passo sia fatto dall'inquinatore (o dal proprietario
dell'area inquinata), che presenta direttamente un progetto di bonifica
autocertificando la veridicità dei dati della contaminazione, senza alcun
controllo, anche a campione, da parte dell'ente pubblico.
In questa
fase emerge un primo problema: come farà l'ente pubblico a verificare l'esatta
estensione della contaminazione, visto che è lecito attendersi dai privati una
sottovalutazione del reale stato di inquinamento (ad esempio: si seguirà tutto
il corso di un fiume per scoprire l'area esatta interessata dall'inquinamento
partito da una fabbrica posta a monte?).
A quel
punto la procedura prevede una rapida approvazione da parte dell'ente pubblico
del progetto di bonifica (90 giorni; ricordiamo che il Ministero dell'Ambiente
per i Siti nazionali di Bonifica convoca le conferenze dei servizi se va bene
con una media di una l'anno per sito!).
Approvato
il progetto il privato realizza la bonifica. Solo a quel punto presenta un
programma di analisi (il cosiddetto Piano di caratterizzazione) delle aree su
cui si è intanto intervenuti. Il Piano deve essere esaminato, prima della sua
realizzazione, dagli enti pubblici in 45 giorni e vale il silenzio-assenso!
Qui si
pone un secondo problema. Dice un detto “chi cerca, trova, chi non cerca,
non trova”. Le sostanze tossiche sono centinaia e attualmente ci sono dei
criteri minimi per cercare un certo numero di queste sostanze sulla base delle
lavorazioni che hanno interessato il sito. Questo decreto invece da la massima
libertà ai privati di scegliere quali sostanze cercare. Considerando che i
costi di analisi e bonifiche sono strettamente collegati al tipo di sostanze,
ci si può aspettare che i privati provino a presentare piani di
caratterizzazione minimali con pochissime sostanze. Poichè queste scelte
spostano decine di milioni di euro, si potrà immaginare la pressione per far
decorrere inultimente quei 45 giorni in modo tale da avere il silenzio-assenso,
sollevando anche gli enti da qualsiasi responsabilità in caso di mancata
risposta.
A questo
punto si fanno le analisi vere e proprio per vedere se la bonifica è stata
efficace e, finalmente, si prevedono le contro-analisi da parte dell'ARPA
locaale. Ma su cosa? Ovviamente solo sui parametri indicati dal privato!
Inoltre attualmente le ARPA fanno le contro-analisi solo sul 10% dei campioni.
Insomma, ci sarà un altissima probabilità di avere bonifiche solo sulla carta.
La
caratterizzazione a valle e non a monte porta con sé altri gravissimi problemi
di carattere ambientale, sanitario e giudiziario.
Infatti
oggi la caratterizzazione realizzata dal privato in contraddittorio con gli
enti fin dall'inizio della procedura permette di valutare l'esatta estensione
della contaminazione, mentre con questo decreto il privato potrà presentare un
progetto solo su piccole aree o, almeno, ci proverà. Sarà compito dell'ente
pubblico in pochissimi e su aree estremamente complesse in cui di solito ci
vogliono anni per capire bene la reale estensione della contaminazione valutare
se possono esistere altre aree limitrofe potenzialmente inquinate, senza avere
strumenti reali per fare ipotesi in tal senso (ad esempio, l'accesso e la
consultazione degli archivi sulle produzioni).
Dal punto
di vista sanitario e giudiziario si perde la sicurezza sul reale stato di
contaminazione a cui sono stati esposti magari per decenni i cittadini. La
popolazione che vive in un'area inquinata (ma anche i ricercatori che devono
valutare l'esposizione ad inquinanti e le ventuali conseguenze) dovranno
basarsi sui dati dei privati per capire se sono stati esposti a pericoli per la
salute!
Si arriva
al paradosso che se un cittadino volesse chiedere i danni sanitari al privato
inquinatore dovrebbe basarsi sui dati presentati proprio da chi ha devastato
l'ambiente rendendolo pericoloso!Una volta avvenuta la bonifica faranno fede
solo i dati dei privati, per carità, “autocertificati”. Ma viene spontaneo
chiedersi: quale privato, quale multinazionale autocertificherà mai l'esistenza
di uno stato di inquinamento per il quale potrebbe essere chiamata a rispondere
per danni nelle aule dei tribunali?
Tra
l'altro è incredibile che non vi sia alcun accenno ai doveri di trasparenza e
pubblicazione di progetti e dati, nonché della partecipazione dei cittadini ai
procedimenti. D'altro lato lo stesso Ministero non pubblicizza le convocazioni
delle conferenze dei servizi sui siti di interesse nazionale ed è inadempiente
dal 2005 sulla pubblicazione dei dati sui siti nazionali di bonifica
obbligatoria secondo il Decreto 195/2005.
Singolare,
infine, il fatto che la norma ha la scadenza, il 2017, come se si trattasse di
uno yogurt!
Questa
previsione è però rivelatrice del reale intento del Governo. Sulle bonifiche
appare evidente la volontà di mettere definitivamente sotto il tappeto le
scorie di un passato in cui il sistema industriale italiano programmaticamente
cercava di stare sul mercato sotterrando i rifiuti per non pagarne i costi. Ora
che la realtà sta venendo a galla con manifestazioni e lutti, lo stesso sistema
industriale chiede di non pagare i danni miliardari secondo il principio “Chi
inquina paga”.
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