Intervista al Ministro Andrea Ronchi
Intervista pubblicata su Agienergia
Quali novità introduce il cosiddetto decreto Ronchi in materia di gestione dell'acqua?
La stella polare di questa riforma è il servizio fornito al cittadino. Il discrimine, quindi, non è la scelta tra pubblico e privato ma piuttosto la possibilità di un vero confronto competitivo tra più candidati gestori. Partendo da questo, l’obiettivo di questa riforma è chiaro: rendere più aperto, competitivo, trasparente ed efficiente il settore dei servizi pubblici locali. Il decreto stabilisce una cosa molto semplice: la centralità della gara nel nuovo sistema di affidamenti. Qui è il cuore del provvedimento. Non c’è discriminazione rispetto alla possibilità di partecipazione: il servizio, infatti, può essere affidato a società in qualunque forma costituite mediante procedure competitive ad evidenza pubblica. Quindi possono partecipare anche le società pubbliche a condizione che dimostrino di poter garantire una gestione efficiente e di non godere di vantaggi competitivi. Inoltre le nuove norme stabiliscono la cessazione a partire dal 31 dicembre 2010 di tutti gli affidamenti che non sono frutto di una gara. Consentono, però, a una società pubblica di mantenere la concessione fino alla scadenza, cedendo, a un socio privato selezionato tramite gara e che abbia compiti operativi connessi alla gestione del servizio, almeno il 40% della proprietà. Questo perché si presuppone che un’apertura ad altri soci privati favorisca l’industrializzazione del settore e una limitazione degli sprechi. Per quanto riguarda le società quotate, per mantenere l’affidamento, devono far scendere la quota pubblica sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015. E’ stato detto da più parti che così facendo si rischia di estromettere società virtuose dalla gestione. Al di là del fatto che se una società è virtuosa e competitiva, può partecipare alla gara e ottenere l’affidamento dimostrando di poter fornire un servizio migliore degli altri, il regolamento prevede la possibilità di mantenere l’affidamento diretto per le società pubbliche previo parere dell’Autorità Antitrust, nei casi in cui la precedente gestione pubblica abbia dimostrato di poter garantire specifiche condizioni di efficienza.
Perché tante polemiche sul decreto di liberalizzazione dei servizi pubblici locali e in particolare di quelli idrici?
Partiamo da un assunto: troppo spesso i monopoli pubblici hanno generato diseconomie di scala, si sono tramutati in carrozzoni, in “poltronifici” nati per garantire potentati e lobby politiche, diventando fonte inesauribile di sprechi. Evidentemente un provvedimento che vuole scardinare questo sistema non può essere digerito da chi di quel sistema ne è artefice e attore e vede così in pericolo il mantenimento di quei privilegi. Per questo e, ne sono convinto, solo per questo, intorno a questa legge è stata sollevata una cortina fumogena che ha veicolato nell'immaginario una informazione evidentemente falsa. Nella legge si parla di “piena ed esclusiva proprietà pubblica delle risorse idriche il cui governo spetta esclusivamente alle istituzioni pubbliche”. Così come pubbliche resteranno le infrastrutture e le reti. Mi sembra molto chiaro. Quindi anche i quesiti referendari presentati contro il decreto che porta il mio nome, poggiano su argomentazioni false basate su una enorme bugia. Da subito coloro che hanno sostenuto il referendum e la raccolta delle firme hanno deciso, evidentemente alla ricerca di facili argomenti o di battaglie identitarie, di inventarsi una presunta privatizzazione dell'acqua e di cavalcarla. È una bugia. E una bugia detta tante volte finisce per diventare una mezza verità. Il risultato è che oggi siamo di fronte ad uno spettacolo surreale. Così si è creata una opposizione fortissima a qualcosa che non esiste e che viene addirittura combattuto a colpi di referendum. Basterebbe invece che il testo venisse letto senza gli occhiali della demagogia e del pregiudizio.
Il Governo sostiene che si tratta di una legge che apre alla concorrenza e che va incontro anche alle richieste della Commissione europea.
Parliamoci chiaro, mantenere un settore impermeabile alla concorrenza vuol dire destinarlo alla perpetua inefficienza. Siamo di fronte a una legge che apre al mercato e che consente al settore di muoversi all’interno di regole certe. Per la prima volta, dopo più di un decennio di mezze riforme, si delinea una cornice normativa puntuale, europeista ma anche rispettosa delle esigenze e degli assetti organizzativi del nostro Paese. Infatti la legge Ronchi detta una serie di norme che si sono rese necessarie per interrompere il susseguirsi di procedure di infrazione ai danni dell'Italia, procedure avviate a causa di modalità di assegnazione del servizio giudicate anomale o poco trasparenti dalla Commissione europea. Senza dimenticare che l’Unione Europea, nella sua giurisprudenza, si è orientata contro gli aiuti di Stato, gli affidamenti in house indiscriminati e – per le Spa quotate – e anche contro le golden share. Tutte circostanze queste che ostacolerebbero il corretto funzionamento del mercato interno. Il dettato comunitario chiede il rispetto dei principi di “economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento” per l’affidamento ai privati o alle aziende misto pubbliche - private dei servizi pubblici. Che sono esattamente i cardini su cui si basa la riforma dei servizi pubblici locali.
È vero che la gestione pubblica di tali servizi ha provocato notevoli sprechi.
In Italia la dispersione idrica in media è del 30% mentre in Germania non supera il 7%.
È assolutamente vero, la situazione del nostro sistema idrico è drammatica e c’è assoluto bisogno di investimenti per cercare di rimediare ad una situazione non consona a un paese civile. L’adeguamento delle infrastrutture necessita di ingenti interventi. Il fabbisogno nazionale di investimenti è pari a 60,52 miliardi di euro (pari a circa 120.000 mld di vecchie lire!) di cui il 49,7% per gli acquedotti e il 48,3% per fognature e depuratori. Non possiamo dimenticare però che i vincoli dettati dal Patto di stabilità interno rendono e renderanno sempre più limitata la possibilità per gli enti territoriali di procedere ad investimenti con gravi conseguenze a carico della collettività. In modo piuttosto intuitivo ne discende che gli investimenti privati sono indispensabili per la ristrutturazione della stessa rete idrica. Non solo. L’acqua è una risorsa preziosa per la vita e per questo, oggi più che mai, non è accettabile una dispersione che mediamente oscilla tra il 30 e il 40%, percentuale che supera il 50% in alcune regioni. Proprio la Germania, a cui lei fa riferimento, dove la dispersione è appena del 7%, considera questo dato scandaloso. Una percentuale che, allo stato attuale, da noi sarebbe considerato estremamente virtuoso. Tutto ciò poi ha un costo calcolato in circa 2 miliardi e mezzo di euro ogni anno che ricade sulla collettività chiamata a risanare con la fiscalità ordinaria i bilanci dei comuni, con la sottrazione di importanti risorse per altri investimenti in settori cruciali come ad esempio la sanità e l’istruzione. Insomma l’intervento non era più derogabile anche da un punto di vista del danno ambientale. I nostri laghi e i nostri fiumi soffrono a causa di un sistema di depurazione fatiscente. Le fogne e i depuratori rappresentano una emergenza per il Paese. Così come sui trattamenti delle acque di scarico rischiamo un alto numero di deferimenti alla Corte di Giustizia europea. Senza contare che anche recentemente il Commissario Ue all’Ambiente ha lanciato un appello e un monito a tutti gli Stati membri per ridurre la dispersione idrica, ancora una volta puntando il dito proprio verso l’Italia che, secondo l’Agenzia europea dell’Ambiente, preleva il 25% di tutte le risorse idriche disponibili e rientra fra i nove paesi europei in condizioni di “stress idrico”.
Che impatto ci sarà sulle tariffe dell'acqua?
Questo è un altro degli allarmi lanciati in modo propagandistico secondo cui le tariffe dell’acqua aumenteranno a dismisura. Sono circolate previsioni catastrofiche e scenari apocalittici da parte dalle associazioni dei consumatori. Ovviamente tutto questo non corrisponde alla verità. L’obiettivo è di riuscire a tenere basse le tariffe tramite l’aumento dell’efficienza e la diminuzione della dispersione idrica. Molto quindi dipenderà dai contratti di servizio che verranno stipulati con le aziende e dalla capacità dei controllori di evitare che ci siano deroghe rispetto a quanto pattuito. Quello che siamo in grado di dire con certezza è che dal 1998 al 2008 – nonostante un sistema per il 90% in mano al pubblico – le tariffe sono aumentate del 47%. E questo malgrado il principio del “full recovery cost”, previsto dalla Legge Galli sia rimasto in larga parte disatteso, con la partecipazione indiretta della fiscalità ordinaria al sostegno delle tariffe. Questo significa che il costo dell’acqua si paga in maniera non equa perché prescinde dal consumo. Non solo. Proprio per fornire il massimo delle garanzie e per dare credibilità e fattibilità a questo processo di riforma, anche col ministro Fitto siamo assolutamente d’accordo sulla necessità di creare a breve un’Authority nazionale terza, indipendente e con poteri reali e sanzionatori. Una istituzione in grado di tutelare il cittadino-consumatore rispetto a possibili comportamenti speculativi e controllare prezzi, gare e investimenti. Una esigenza forte che, di fronte a un dibattito così impetuoso, irrazionale e fuorviante è ancora più sentita.
Giandomenico Serrao
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